All’alba di un nuovo pontificato è possibile affermare la convinzione che ogni Papa con la sua umanità – beati coloro che non si scandalizzano di questa – assolve il compito davanti a cui lo mette la storia

Si compiono i primi 90 giorni dall’elezione di Papa Francesco ed è naturale guardare a questi mesi con il desiderio di cogliere qualche elemento caratteristico del nuovo pontificato.

Sicuramente, un dato evidente riguarda la personalità del Pontefice, che, fin da subito, ha raggiunto il cuore dei credenti ed ha interessato anche persone indifferenti o lontane dalla pratica religiosa. Non si tratta di un vestito indossato per l’occasione. Il modo di presentarsi al mondo di Francesco è coerente con il precedente ministero: qualcuno ha detto che egli è lo stesso da vescovo e da Papa. Così, la evidente semplicità con cui si presenta e si relaziona con i vescovi, i sacerdoti, i religiosi e soprattutto con i fedeli ha avuto tra gli altri l’effetto di togliere a coloro che quotidianamente attaccano la Chiesa il pretesto di fare sterile polemica e ha indotto i mezzi di comunicazione a dover interessarsi maggiormente ai contenuti di quello che dice. Naturalmente ci sono ancora alcuni tabù: ad esempio, per chi ritiene l’aborto una conquista di civiltà non è possibile riferire le parole del Santo Padre, pronunciate nei giorni scorsi in difesa dei bambini non nati.

Ora, se è vero che la forma esterna in lui non è esteriorità, ma è il modo naturale di far apparire ciò che è in verità, chi si fermasse solo all’esterno non capirebbe molto di Papa Francesco e, soprattutto, finirebbe per contrapporre indebitamente il suo governo a quello di Benedetto XVI. Per questo occorre più che mai distinguere quella che è la forma dalla sostanza: se all’interno della prima sono evidenti legittime diversità, non è possibile trovarne al riguardo della dottrina insegnata. Anzi, qui sono evidenti tanti punti in comune, che rivelano una logica di continuità, più che non una frattura.

Basta scorrere i discorsi, le omelie di questi primi mesi per notare quante volte Papa Francesco cita e sviluppa pensieri di Benedetto XVI; il richiamo al magistero del suo predecessore è sempre fatto in modo opportuno e secondo la propria formazione teologica e filosofica, così che non è un ripetere pedissequamente degli slogan, ma ripresentare in modo personale le osservazioni, cui era giunto Benedetto XVI.

Come ad esempio porre tra le più gravi povertà del nostro tempo non immediatamente la fame di cibo, ma il relativismo morale, che priva l’uomo del nutrimento della verità. Chi si pone a questo livello di profondità, l’unico veramente idoneo per leggere un pontificato, non si meraviglia, né si scandalizza di cambiamenti nella forma, anche se questa è tale da secoli.

In continuità con il suo amato predecessore, Francesco condivide l’ansia per la riforma della Chiesa. La buona salute di cui sembra godere, l’ottimismo e la fiducia nella provvidenza di Dio gli permettono di pensare già ai necessari cambiamenti per il bene dell’intero popolo di Dio.

La sua riforma riguarderà domani, forse, le strutture, certamente, oggi ha di mira il cuore degli uomini e delle donne di Chiesa, denunciando, ad esempio il carrierismo come autentica lebbra. O interrogando i fedeli che lo ascoltano circa l’autenticità della testimonianza cristiana nel mondo o circa il l’impegno di tutti a favore dei poveri nel mondo.

All’alba di un nuovo pontificato non è possibile dire molto di più. Resta, però, la convinzione che ogni Papa con la sua umanità – beati coloro che non si scandalizzano di questa – assolve il compito davanti a cui lo mette la storia. Un compito – aveva ricordato Benedetto XVI – oggi assai faticoso a motivo dei rapidi mutamenti