bibbiaIndagine Gfk Eurisko per conto della Chiesa valdese. Idee confuse sugli autori della Bibbia. Buio assoluto sui dieci comandamenti. Risposte insufficienti sulle tre virtù teologali. Il politologo Paolo Naso: “Ignorare o non disporre di chiavi di comprensione della realtà religiosa significa venire meno alla cittadinanza sociale, alle dinamiche delle integrazioni, della semplice convivenza nello spazio pubblico”

Gli italiani? Ignoranti in materia religiosa. Oltre il 50% ha idee confuse sugli autori della Bibbia e soltanto il 16% è in grado di mettere in ordine cronologico Noè, Abramo, Mosè e Gesù. Meno di due italiani su dieci sono in grado di citare i dieci comandamenti e il 41% ne sa citare uno soltanto.

È quanto emerge da un’indagine condotta da Gfk Eurisko per conto della Chiesa valdese, i cui dati saranno presentati questa sera a Torre Pellice ad una serata pubblica promossa nell’ambito del Sinodo delle chiese metodiste e valdesi dal titolo “Santa ignoranza. Gli italiani, il pluralismo delle fedi, l’analfabetismo religioso”. Il Sir ne ha parlato con Paolo Naso, coordinatore della Commissione studi della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei).

Che cosa l’ha colpita di più della ricerca Eurisko?

“Abbiamo riscontrato un’elevata punta di persone che senza esitazione si definisce cattolica. Il problema è che a questa identità corrisponde un assoluto analfabetismo religioso. Alla domanda per esempio, capostipite di ogni catechismo, riguardo alle tre virtù teologali, ha saputo rispondere solo il 17%. Oppure, riguardo alla lettura della Bibbia, solo il 30% lo fa al di fuori delle celebrazioni liturgiche. Rarissime poi le persone in grado di citare tutti e dieci i comandamenti: il 41% ne sa citare solo uno, di solito il ‘non uccidere’ o il ‘non rubare’. Solo poi il 16% sa mettere in ordine cronologico Noè, Abramo, Mosè e Gesù. Siamo quindi di fronte ad un dato gravissimo di assoluto analfabetismo religioso”.

È un fenomeno che c’è sempre stato o è andato peggiorando negli anni?

“È un fenomeno che è andato peggiorando negli anni. Abbiamo per esempio posto la domanda su chi ha iniziato la riforma protestante. Il dato che emerge è che circa il 50 % degli italiani sa che è stato Lutero. Quando abbiamo posto la stessa domanda a giovani sotto i 30 anni, quelli cioè che dovrebbero essere più freschi di studi, il dato si abbassa al 31%. Emerge allora un dato ancora più grave che riguarda in particolare i giovani. C’è di che preoccuparsi”.

Che cosa preoccupa di più?

“Un dato oggi di analfabetismo religioso così alto ha una pessima funzione sociale. Oggi le religioni sono chiamate in causa dal più ampio tema della interculturalità. Ignorare o non disporre di chiavi di comprensione della realtà religiosa significa venire meno alla cittadinanza sociale, alle dinamiche delle integrazioni, della semplice convivenza nello spazio pubblico”.

Vuol dire che c’è un legame tra i fenomeni di razzismo e l’analfabetismo religioso?
“Esiste un rapporto stringente. La forza più percepibile di razzismo è la discriminazione nei confronti di chi ha una religione diversa. Negli ultimi 4 anni, per esempio, sono state fatte campagne scientifiche di delegittimazione della presenza islamica nel nostro Paese con la motivazione che il musulmano è portatore di valori e sistemi di pensiero e vita incompatibili con la società italiana”.

Perché l’appartenenza religiosa dà così fastidio?

“La prima ragione è che siamo in Italia. Siamo cioè in un contesto nel quale l’identificazione religiosa ha un peso che non si riscontra in altre società come quella americana, inglese o svizzera. Il secondo elemento è dato dal fatto che alcuni partiti politici hanno diffuso echi dozzinali e volgari dello scontro di civiltà che sono diventati categorie di scontro politico. Ci sono cioè in Italia forze politiche che hanno deciso di fare political marketing agendo su questo tema. E gli effetti negativi in termini di pregiudizio sono purtroppo sotto gli occhi di tutti, quando le logiche discriminatorie ed esclusive diventano senso comune”.

Un’Italia che non sa decifrare il fenomeno del pluralismo religioso, che Paese diventerebbe?

“Da un lato un’Italia più povera culturalmente, perché non sa capire la sua storia di Paese multiculturale e non sa fare proprie le ricchezze e le tradizioni specifiche dell’altro. E dall’altro sarebbe un Paese più pronto all’implosione: il vettore religioso anziché essere un vettore di mediazione in funzione della coesione sociale diventerebbe un vettore di scontro. Se l’Italia quindi non mette seriamente mano ad una politica di alfabetizzazione religiosa in funzione della coesione sociale, a mio modo di vedere aggrava un percorso di implosione sociale: non ci capiamo, non dialoghiamo, non conviviamo serenamente e perpetriamo una logica di scontro. Certamente a basso conflitto, ma uno scontro lacerante del tessuto sociale”.

Maria Chiara Biagioni