Stabilire quando siano nate le parrocchie rurali è assai arduo per la quasi totale assenza di una documentazione attendibile e perchè l’organizzazione ecclesiastica, almeno fino al sec. XVI era assai diversa dall’attuale imperniata sulla parrocchia territoriale, ma sulla più vasta pieve.

Per quanto riguarda la storia antica delle nostre due parrocchie non si conoscono a tutt’oggi altre notizie se non quelle pubblicate nei volumi “Chiese di Cuggiono e Castelletto” (2000) e “Cuggiono, la sua storia” (2009).

Da quando la popolazione delle campagne milanesi era divenuta tutta cristiana (sec. V-VI) solo nelle “Chiese Battesimali”, situate nei maggiori borghi, era regolarmente celebrato il culto da un clero ivi residente. Ad esse affluiva la popolazione dei villaggi dei territori circostanti, più o meno vasti, che formavano le pievi. Cuggiono e Castelletto appartenevano alla pieve di Dairago.

Sopravvivevano certo usi e tradizioni paganeggianti, molto più diffusi che non l’arianesimo nominalmente professato dagli occupati longobardi, ma praticamente limitato alle loro èlite. Gente rozza e illiterata (come lo era anche la maggior parte della popolazione di ascendenza gallo-romana) faticava ad assimilare una religione legata ad un testo (I Vangeli) che trascendeva l’esperienza quotidiana trasferita in un immaginario radicato nel mondo sensibile.

Dopo la conquista franca (VIII secolo) e l’adesione delle genti longobarde al cattolicesimo sorsero nei villaggi delle cappelle, sopratutto ad opera di privati che ne erano i proprietari. Nacque così la figura giuridica della pieve con cappelle. Queste cappelle, non spezzavano in alcun modo l’unitarietà della pieve, permettevano una migliore pastorale, dipendevano dall’arciprete pievano ed erano officiate da preti o diaconi a volte stipendiati dai proprietari, ma spesso erano dotate di un patrimonio fondiario (la terra era il bene per antonomasia) le cui rendite permettevano il sostentamento del chierico addetto e la manutenzione dell’edificio.

Di questo periodo esistono atti notarili (fondamentali quelli dell‘875 e del 988) che attestavano l’esistenza a Cuggiono di una cappella dedicata a San Giorgio, dotata di beni, e a Castelletto di un’altra dedicata ai Santi Filippo e Giacomo non sappiamo con esattezza se e quanto dotata.

Nella seconda metà del sec. XI avvenne anche in diocesi di Milano una riorganizzazione delle strutture pievane soprattutto per migliorare la cura pastorale della popolazione. Declinata definitivamente la figura del prete uxorato, i preti furono obbligati a condurre via comunitaria in una casa situata presso la chiesa battesimale chiamata “canonica”. La domenica (ma anche in altri giorni) si recavano nel villaggio di cui avevano ricevuto “l’investitura” per la celebrazione della messa, per visitare i malati e per dare un minimo di istruzione religiosa alla gente, ma il battesimo, la cresima e la comunione pasquale erano celebrati sempre e solo nella chiesa battesimale pievana.

Incerta la prassi per i matrimoni; i funerali erano celebrati nei singoli villaggi, ovviamente quasi sempre a sepoltura avvenuta.

Presso la canonica avveniva anche la formazione dei futuri preti, ordinati dal vescovo dopo essere stati esaminati sopratutto dal punto di vista dell’Idoneità liturgica, molto meno sulla loro preparazione culturale.

Il sorgere di parrocchie autonome, già previste da una decretale di Lucio III (1181-1185), avverrà molto lentamente, sull’onda dell’affermarsi delle autonomie locali con la nascita dei comuni rurali. A poco a poco i preti finiranno col risiedere presso le cappelle di cui avevano ricevuto “l’investitura” dando vita a quelle che saranno le parrocchie. Il legame con l’arciprete pievano rimarrà però indiscusso. Fu un passo decisivo verso una più puntuale cura pastorale in tempi in cui non esistevano veloci mezzi di trasporto.

Il più antico prete “residente” a Cuggiono, di cui si conosce solo il nome, fu Cristoforo de Vedys, rettore (quindi non parroco) nel 1398. Poi incontriamo un Gaspare da Ozzero nel 1420, un Stefano Luatis de Daverio nel 1436, un Guglielmo de Gayate nel 1455, un Paolo Crespi nel 1481. Appartenevano tutti al “capitolo estrinseco” di Dairago, cioè al clero pievano, tenuto ad approvare, per la validità agli atti di natura giuridica compiuti dall’arciprete.

Di Castelletto non si conosce nessun nome fino alla metà del Cinquecento. Forse nessun prete fu investito della piccola “cura”, goduta direttamente dall’arciprete che assicurava l’assistenza religiosa di pochi abitanti.

di Gianni Visconti